I tre uomini che costruirono il 25 aprile
Nel libro di Carlo Greppi le figure di Cadorna, Longo e Parri sullo sfondo del Cvl nell’ultimo anno di Resistenza. Stima personale e chiarezza di obiettivi per mettere da parte le divergenze
di Massimo Razzi
Tre grandi uomini e tre scene che potrebbero essere quelle principali di altrettanti film. Sono gli ingredienti di “25 aprile 1945” dello storico Carlo Greppi, edito da Laterza nel 2018 per la collana “10 giorni che hanno fatto l’Italia”. I tre personaggi sono Raffaele Cadorna (Valenti), Luigi Longo (Italo) e Ferruccio Parri (Maurizio): un generale dell’esercito di area liberale, un comunista tutto d’un pezzo e il leader del Partito d’Azione che furono capaci, in situazioni difficilissime, di costruire l’unità politica e militare delle forze partigiane che liberarono tutte le grandi città del Nord Italia e giustiziarono Benito Mussolini. Lo strumento di questa unità, anche umana e personale, fu il Corpo Volontari della Libertà che il Clnai (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) decise di istituire nel giugno del 1944 per dare un comando organizzativo e militare alle circa cento brigate (comuniste, azioniste, socialiste, democristiane e autonome) nell’ultimo anno della Resistenza. Un’operazione tecnica e politica che, oggi, si definirebbe “Mission Impossible” e che, invece riuscì proprio grazie alla forza e alla volontà di questi tre uomini e di un folto gruppo di comprimari che li aiutarono: da Sandro Pertini a Leo Valiani, da Mario Argenton a Giustino Arpesani, da Riccardo Lombardi a Vittorio Palombo, solo per citarne alcuni. Un’operazione basata sulla stima e la fiducia nate fra i tre che non dimenticarono mai le loro differenze politiche e i diversi punti di vista, ma seppero metterli da parte nel nome del riscatto di un popolo e di un Paese da ricostruire su basi democratiche.
“E’ proprio questa fiducia nell’altro che mi ha colpito – racconta oggi Carlo Greppi -. Un sentimento che si trova nei fatti e nelle carte e che fu determinante. I tre sapevano che dovevano assolutamente fidarsi l’uno dell’altro per costruire un vero e proprio esercito partigiano capace di guidare la Liberazione”. La questione centrale era proprio quella dell’esercito popolare che doveva servire anche per guadagnare meriti e spazio politico nei confronti degli alleati e anche, per certi versi, del governo provvisorio di Roma. Dirà Parri neanche un mese dopo la Liberazione nel suo discorso al teatro Eliseo di Roma “Gli alleati desideravano nell’Italia settentrionale non la formazione di un esercito di partigiani, ma la formazione di gruppi di partigiani, sia pure collegati fra di loro, che avessero il compito di infliggere il maggior danno possibile ai tedeschi, limitandosi però a colpi di mano e ad atti di sabotaggio…”. Grazie al Corpo Volontari della Libertà il movimento partigiano italiano seppe andare oltre i sabotaggi, seppe combattere i nazifascisti a viso aperto e seppe anche superare (grazie alla incredibile efficienza di comunicazione messa in piedi in poche settimane) il famoso proclama del generale alleato Harold Alexander (13 novembre 1944) che, praticamente, chiedeva ai partigiani di fermarsi per l’inverno e di “cessare per il momento operazioni su vasta scala…”. Fu Longo, in questo caso, anche grazie alla sua proverbiale abilità dialettica, a “smontare” il proclama e a darne un’interpretazione del tutto diversa tale da impedire il rischio di una generale smobilitazione.
Delle tre scene in cui si articola il libro, la terza in ordine di tempo è la più importante. Si svolge nel palazzo dell’Arcivescovado di Milano nel pomeriggio del 25 aprile del 1945 quando il cardinale Alfredo Ildefonso Schuster tentò un’estrema mediazione tra la Resistenza ormai vincente e il fascismo ormai sconfitto. Venne anche raccontata (e romanzata) nel film “Mussolini ultimo atto” di Carlo Lizzani. L’obiettivo in chiaro era quello di evitare un’inutile battaglia che avrebbe causato morte e distruzione a Milano, quello meno evidente (da parte di Schuster) era di trovare un modo per salvare la vita di Mussolini, dei suoi gerarchi e delle loro famiglie facendo in modo che si consegnassero agli alleati dopo una breve resistenza nel “ridotto” della Valtellina. All’incontro, oltre a Schuster, parteciparono cinque fascisti: lo stesso Mussolini, il maresciallo d’Italia Rodolfo Graziani, Francesco Barracu e Paolo Zerbino (che moriranno con Mussolini pochi giorni dopo a Dongo) e il prefetto di Milano Mario Bassi. I rappresentanti del Clnai erano tre: Raffaele Cadorna, Achille Marazza (democristiano) e il futuro prefetto di Milano Riccardo Lombardi (allora azionista). Non c’erano comunisti né socialisti e questo, fa notare Greppi, è un altro segno della grande fiducia che regnava tra le forze partigiane il cui punto di vista sulla trattativa era chiaro e univoco: i fascisti dovevano arrendersi senza condizioni. Greppi utilizza i ricordi di tutti i presenti sopravvissuti a quei giorni concitati per raccontare la scena con grande precisione. Sappiamo come andò a finire. Mussolini lasciò il consesso verso sera assicurando che entro un’ora avrebbe risposto sulla sua resa. Ma non tornò e tentò l’ultima fuga che si concluse con la fucilazione a Dongo.
Ed ecco le altre due scene che si svolgono un po’ lungo tutto il libro. La prima racconta di quando (12 agosto del 1944) il generale Cadorna, destinato al comando militare del Cvl, venne paracadutato da un quadrimotore Halifax sul monte Sparavera (Prealpi bergamasche). Lì comincia il percorso, irto di difficoltà e di delicate discussioni ma pieno di passione, attraverso il quale i tre uomini trovarono l’intesa che permise alla Resistenza italiana di essere riconosciuta da tutti come protagonista della Liberazione. L’altra scena è quella del tentativo di Edgardo Sogno (Franchi) di liberare Ferruccio Parri prigioniero all’Hotel Regina a Milano. Un tentativo tanto coraggioso quanto sballato che inevitabilmente fallì. E ci volle tutta la pressione del Clnai sugli alleati per arrivare a uno scambio di prigionieri e a salvare la vita del comandante Maurizio.
Scene da film si diceva ma tutte rigorosamente vere, con uomini in carne d’ossa che seppero mettere da parte gli interessi di parte per il bene comune. Interessi che tornarono a emergere nei difficili anni del dopoguerra con la rottura del patto resistenziale, la cacciata dei comunisti dal governo e gli inizi della guerra fredda. Il punto più basso si toccò con la legge truffa del 1953 che trovò Longo e Parri schierati dalla parte opposta di Cadorna, eletto senatore come indipendente nelle file della Dc. Ci furono scambi pesanti di invettive tra Longo e Cadorna che arrivarono a mettere in discussione ruoli e comportamenti nella vicenda del Cvl. Ma il 25 aprile del 1960 i tre si ritrovarono a Milano per celebrare insieme i 15 anni di libertà. Si strinsero la mano per i fotografi ma, poi, nel retropalco, ci fu un abbraccio che superò le divergenze e fece riemergere stima e unità. Dice oggi Greppi: “Cadorna, Longo e Parri sono i rappresentanti più puri dell’unità antifascista di cui anche oggi ci sarebbe grande bisogno. E’ un tema che, nel tempo, è stato quasi dimenticato e che, adesso, mi sembra fortunatamente rientrato all’ordine del giorno. Spero, con questo libro, di aver contribuito a ravvivarlo”.
25 aprile 1945
di Carlo Greppi
Editore Laterza
Collana: “10 giorni che hanno fatto l’Italia”
Pagine: 244
Prezzo: 18 €
Un riepilogo veritiero utile nel fare chiarezza sulla identità di coloro che rappresentarono il corpo dei partigiani nella Resistenza. Oggi si fa fatica a mettere a fuoco le variegate origini e matrici di coloro che vi parteciparono, uniti però tutti dal comune impegno nel combattere il nazifascismo. Solo nel dopoguerra aderirono per libera scelta ai vari partiti, fino ad allora interdetti dal fascismo.
Cadorna, Longo e Parri furono gli artefici del movimento che portò alla nascita di quel nucleo unitario da cui nacque la Resistenza partigiana.